Bella Verona.
Il mondo salvato dai ragazzini
Liberamente tratto da Romeo e Giulietta di W.Shakespeare / ispirato a Il mondo salvato dai ragazzini di E. Morante
Progetto finalista Biennale College registi 2020
Testo e regia Elvira Scorza
Con Loris De Luna, Noemi Grasso, Fabrizio Martorelli, Federico Palumeri, Chiarastella Sorrentino
Aiuto regia Noemi Grasso
Assistente regia Gabriele Anzaldi
Dramaturg Marzio Badalì
Scene Rosita Vallefuoco
Luci Umberto Camponeschi
Suoni Filippo Conti
Nella bella Verona è dove si svolge l’eccellentissima e lamentevolissima tragedia di Romeo e Giulietta, di cui tutti sanno tutto quindi che senso ha raccontarla ancora Perché è bella, si potrebbe rispondere, bella quanto questa Verona che si disegna alle spalle degli odi e degli amori di Montecchi, Capuleti e compagnia cantante: nella bella Verona, non a caso inizia così la narrazione perché lì si svolge tutto, e di questo Bel Paese, delle sue eccellenze e nefandezze, si parla ancor prima di tirare in mezzo l’amore. Si inizia in piazza, circondati da cittadini che incitano all’odio, alla lotta, alla contesa. Sangue e morte, guerra e pace scandiscono la vita comune meglio degli orologi nei municipi, e gli ingranaggi di questi tempi perversi sono loro: i giovani. Attorno, seduti a guardare, i grandi e le loro certezze: i giovani si sentono incompresi, si mettono le mani addosso e ogni tanto esagerano, è normale. A volte alla violenza preferiscono il silenzio, e passano ore a vagare nella notte e scavarsi il cuore, è normale anche questo. Ogni tanto il gioco della guerra straborda dal campo dei ragazzetti e minaccia il mondo dei padri e i loro problemi, ma i muri resistono. I vecchi chiusi in casa a rimuginare, i giovani per strada a darsi da fare. Va così, nella bella Verona funziona così. In tutto il Bel Paese funziona così, e la cosa devastante è che ce l’avevano detto. I nostri padri, questo odio tra famiglie che ha fatto scoppiare in aria banche, stazioni, macchine e portoni ipocritamente sedato nel Palazzo ce l’hanno raccontato; questi schieramenti politici falsamente contrapposti, ricicciati poi nella società capitalista e inclusiva dell’andrà tutto bene, ce l’hanno diagnosticato. Ci hanno messo in guardia dalla bellezza dell’Italia del futuro: un paese di musichette, mentre fuori (nelle piazze, in mezzo alle strade, sotto i balconi degli innamorati) c’è la morte. Bella Verona parte da queste canzonette che, con leggerezza e persuasione, mantengono alti i valori del nostro bel Paese. Davanti a queste voci del passato, messaggere del destino che attende la città e i suoi abitanti (se solo questi fossero capaci di ascoltare) vivono i ragazzini, i campioni dell’infelicità, la mutria cretina in cui splende – per poco, manco tre giorni – l’amore di Romeo e Giulietta. Ragazzini, uniti come Pasolini prediceva in una massa amorfa. Allora l’odio che uccide Tebaldo e Mercuzio, l’amore che inganna Romeo e Giulietta, sono due facce della stessa società costituita su feste e bunga bunga perché vinca sempre il capitale. Capitale che è voce del padre, padre che è quello da cui si viene e da cui si impara a credere, corpus di valori che ci definisce e ci nomina: padre Capuleti, padre Montecchi, padre Lorenzo sono la stessa voce che alla rabbia accecata di Tebaldo e all’amore ottuso di Giulietta risponde allo stesso modo: è tutto finto, falso, fatto ad arte perché sia visibile ma in fondo inutile. Nessuno ti sente. Perché d’amore non si muore ma si muore d’incomprensione, e in questa Bella Verona dove tutti lottano contro tutto, il tempo è nemico di ciascuno ma nessuno si capisce. È per questo che Romeo e Giulietta arrivano ad innamorarsi: perché si riconoscono. Parlano la stessa lingua, credono che questa sia la salvezza, la chiave per cambiare il mondo oltre che se stessi: fanno la rivoluzione, loro. Questa è la forza del loro amore; di contro, Mercuzio e Tebaldo hanno la stessa forza reazionaria. E infatti, muoiono. Potrebbero essere la stessa persona, e in questa riscrittura lo sono: muoiono per lo stesso motivo, tutti tranne la mutria cretina. Benvolio, e i padri, rimangono e piangono ai funerali di stato delle vittime della rivoluzione fallita. Glie ne vogliamo fare una colpa, di questa indecenza del sopravvivere? questi giovani che si riconoscono, questi ragazzini che fanno la rivoluzione con l’amore, possono salvarlo il mondo? Questa è la domanda a cui vogliamo rispondere, raccontando attraverso la lamentevolissima ed eccellentissima tragedia la storia di un paese, un mondo, che nel farsi salvare dai ragazzini uccide la vita delle nuove generazioni. E non c’è salvezza, per nessuno.
Terrazza Mascagni è un gruppo informale di professionisti del teatro che, di volta in volta, si definisce e si organizza attorno a un progetto di spettacolo.
Collante del gruppo è il fare teatro con un’idea di cooperazione e di gestione dell’autorialita e della ricerca condivisa che ha portato, negli anni, alla costituzione di uno zoccolo duro di persone che in progetti diversi, in città e realtà diverse, continua a scegliersi per lavorare insieme.
Il gruppo per scelta non ha ruoli predefiniti, riunendo al suo interno persone che impegnano la loro professionalità negli ambiti di interesse che il progetto richiede; non ha formalità perché non ha sede, vive nell’incontro di persone che provengono da tutta Italia e che si ritrovano a lavorare laddove sono accolti, laddove possono trovare spazio. Come succede alle gocce del mare livornese che bagnano il lungomare, e che in Terrazza Mascagni hanno spazio per risuonare.
Il nome nasce dalla prima residenza che il gruppo ha svolto, appunto nella città di Livorno, in occasione della Biennale College-Registi 2020. Il nucleo originario del gruppo si delinea nell’amicizia e nella collaborazione nata tra Noemi Grasso e Elvira Scorza alla Scuola per Attori del Teatro Stabile di Torino, per poi allargarsi con Loris De Luna nel lavoro al primo spettacolo della compagnia. Ma la gestazione viene portata definitivamente a termine grazie al progetto Bella Verona, con cui il gruppo si allarga trovando Chiarastella Sorrentino e Federico Palumeri, Rosita Vallefuoco, Filippo Conti e Umberto Camponeschi.
Questo gruppo di lavoro, nei due anni appena trascorsi di grave difficoltà e precarietà lavorativa, produce tre spettacoli, lavora a due progetti di regia e incontra realtà teatrali in tutta Italia, collaborando con compagnie, centri di residenza, autori vivi e testi da riportare in vita.