Dodeskaden

 

 

di Michele Segreto
drammaturgia Michele Segreto, Fabio Pisano
con Marzia Gallo, Matteo Ippolito, Marco Rizzo, Riccardo Vicardi
prima creazione con Giacomo Ferraù, Sebastiano Bronzato
con il sostegno di a.ArtistiAssociati – ARTEFICI.Residenze Creative FVG, La Corte Ospitale
si ringrazia Lab121, Milano
progetto finalista Bando Under30 Venezia Biennale Teatro 2020

 

Spettacolo finalista Biennale di Venezia – Registi under30 2020 e selezionato da ARTEFICI 2023 di a.Artisti Associati di Gorizia, Dodeskaden di Michele Segreto e Fabio Pisano ripercorre la vita e l’opera di Akira Kurosawa partendo dall’omonimo film del 1970, il più personale, struggente e disastroso culmine dell’opera del regista nipponico, che lo porterà a tentare il suicidio.

 

INTERNO, NOTTE _ La pioggia entra nella stanza dalla finestra aperta.
Una lama di rasoio è posata sul lavello. Una mano la impugna.
Gocce di sangue sul pavimento.

Non c’è un regista, nella storia del cinema, che non abbia studiato sui film di Akira Kurosawa. Non c’è un premio che non abbia vinto; non c’è appassionato di cinema che non conosca il suo nome e la sua opera. Eppure. Dopo il flop di consensi per il suo ultimo film, Dodes’ka-den, e la diserzione del pubblico dalle sale cinematografiche, Akira Kurosawa è sicuro che la sua carriera sia finita, il suo nome dimenticato, la sua opera svalutata. È certo che non lavorerà mai più, e se è vero che la sua vita coincide con la sua opera, è altrettanto certo che non vivrà più. Anzi: di non voler più vivere.
Come si è arrivati a questo?
Che cosa significa nutrirsi di arte, al punto da non conoscerne alterativa?
Cosa è disposto a fare, un artista che sperimenta, di fronte al pubblico e al suo amore negato?
Partendo dai materiali più disparati come interviste, sceneggiature, biografie e articoli di giornale, lo spettacolo si interroga sul concetto di fallimento, di aspettativa e giudizio e intorno al difficile compromesso tra libertà dell’artista e esigenze del pubblico, tra necessità commerciale e creazione svincolata dalle regole, tra vita e morte, arte e vita, morte e arte.

 

 

DIARIO DI VIAGGIO: IL RACCONTO DELLA RESIDENZA ATTRAVERSO LA VOCE E GLI OCCHI DELL’ARTISTA

Che cosa ha significato questo periodo di residenza per voi, per il lavoro nella fase in cui siete?
“DODESKADEN è un progetto che ci accompagna da anni e che, proprio come noi, è cambiato nel corso del tempo. Avere la possibilità di tornare a lavorarci, in questa fase, significa e ha significato riprendere spunti, materiali e scene rimaste ferme per oltre un anno e mezzo e lavorare alla selezione di cosa ci interessava veramente dire. Abbiamo sfruttato questo tempo prezioso per riprendere tante conversazioni rimaste sospese, scoprire che eravamo o non eravamo ancora interessati a dire certe cose o che ne volevamo dire altre; abbiamo lavorato alla quadratura di un percorso lungo e fatto di appuntamenti lontani nel tempo.”

Qual è per te il senso e il valore di uno spazio di residenza artistica?
Il lavoro del teatro richiede, almeno per me, una totale dedizione mentale, per cui rimugini, lavori, pensi e ripensi a tutte le ore. Non conosce soste. A volte questo può essere anche un male, intendiamoci. Inoltre è difficile trovare un tempo del genere, nella abitudinaria rincorsa delle giornate. La residenza permette di appiattire questo tempo ed espanderlo, permette di lavorare di notte -se di notte si è prolifici- di fare un caffè e continuare a ragionare, di provare all’aperto sulle panchine, di parlarne durante una passeggiata lungo l’argine, ma pure di passeggiare e basta, senza pensare ad altro – che a volte è l’unica cosa di cui si ha bisogno.