Personne, chroniques d’une jeunesse

 

di Ugo Fiore e Livia Rossi
drammaturgia Livia Rossi
con Ugo Fiore e Federica Furlani
progetto sonoro Federica Furlani
disegno luci Giulia Pastore
consulenza alle scene Paolo Di Benedetto
scene realizzate da Laboratorio di Scenografia “Bruno Colombo e Leonardo Ricchelli” del Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa
produzione La Corte Ospitale
co-produzione Proxima Res
con il sostegno di MiC e Regione Emilia-Romagna

Spettacolo vincitore Forever Young 2021/2022 – La Corte Ospitale
Dalla motivazione della giuria «Ogni fiaba ha i suoi mostri. E a volte anche la vita. Tra favola nera e autofiction prende forma una drammaturgia – della parola, del suono e delle immagini – in sottile e sensibile equilibrio nel difficile racconto di un’infanzia violata e dei riverberi di questa violenza nell’età adulta. Lucido, affilato, lontano da tentazioni retoriche, “Personne” colpisce al cuore per la capacità di andare oltre il fatto di cronaca trasfigurandolo in potente fatto teatrale».

 

“Chi lotta contro i mostri deve fare attenzione a non diventare lui stesso un mostro. E se tu guarderai a lungo in un abisso, anche l’abisso vorrà guardare dentro di te.”
Al di là del bene e del male, Friedrich Nietzsche

 

Il racconto comincia da una casa. Gaston Bachelard la definisce come “lo spazio che racchiude e comprime il tempo attraverso la memoria e l’immaginazione.” In una scena asettica, completamente bianca, Ugo comprime il tempo e ricorda – o forse immagina. Ricorda i luoghi della sua infanzia, il giardino, la sabbiera, i pomeriggi passati a giocare con il fratello e il cugino. Ma poiché la memoria è una macchina imperfetta, nelle cui crepe realtà e finzione si confondono, i ricordi di Ugo assumono fin da subito i contorni di una fiaba. E proprio come in una fiaba, una volta salite le scale e aperta la porta di casa, Ugo ripiomba nei suoi undici anni, il giorno in cui ha incontrato Xavier. Si sono conosciuti su una chat. Si incontrati una volta sola, nei bagni pubblici di un parco.
Xavier ha trent’anni più di Ugo.

Lo spettacolo si sviluppa nella progressiva creazione di cortocircuiti narrativi, in un gioco di accordi e opposizioni, in cui, proprio come accade nella memoria, la realtà e l’immaginazione si confondono. Così, sulla scena, il lavoro evocativo della musica, che attinge da un immaginario infantile e lo distorce, convive con la presenza ingombrante del video, che in maniera quasi documentaristica rivela gli interni della casa. A creare poi ulteriori cortocircuiti di senso, è la compresenza di italiano e francese, le due lingue di Ugo. Non tutto è immediatamente comprensibile. Lo spettacolo, nascondendo continuamente ciò di cui parla, ripercorre insieme allo spettatore la dinamica di adescamento del pedofilo.

«Partendo da un fatto biografico, ci siamo chiesti come non restarne incastrati. La pedofilia è un tema che ha a che fare con l’osceno, con ciò che è irrappresentabile, e con la dimenticanza. Il pedofilo è come Crono che divora i suoi figli. Il suo è un tempo bloccato, ciclico. Vive in un presente che sopprime la possibilità di futuro, del succedersi di generazioni, e in questo senso annienta anche il passato. È un tempo che sembra escludere ogni forma di racconto. Eppure, nel linguaggio allusivo e simbolico delle fiabe abbiamo trovato una chiave che ci ha permesso di distogliere lo sguardo dalla biografia e allargare i confini della nostra ricerca. Abbiamo cominciato a riflettere sul concetto di mostruoso, cercando di cogliere, nelle fiabe, ciò che le sue diverse rappresentazioni avevano in comune. Così è nato questo lavoro: la storia, vera e non vera, di un bambino che diventato adulto incontra di nuovo il mostro della sua infanzia. Immaginare questo incontro è per noi un modo di interrogarci su come eventi, che dovrebbero restare relegati alla sfera delle paure e dei tabù, possano contaminare la costruzione della nostra identità, quando irrompono violentemente nel quotidiano.» Ugo Fiore, Livia Rossi e Federica Furlani.





RASSEGNA STAMPA

Carlo Lei, LiminateatriLa seduzione: è questo uno dei segni evidenti sia nel contenuto del lavoro, sia del suo linguaggio, costruito col ricorso a strumenti raffinati e composti con vera arte. Ugo Fiore, infatti, che racconta di sé in prima persona, conquista poco per volta un livello di quieta ma insostenibile intensità nella performance, in un dialogo produttivo con tutte le componenti (musica, luci, videoproiezioni, testo)








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