Gli anni
di Marco D’Agostin
con Marta Ciappina
suono LSKA
luci Paolo Tizianel
collaborazione drammaturgica Chiara Bersani
promozione, cura Damien Modolo
organizzazione Eleonora Cavallo
amministrazione Federica Giuliano
produzione VAN
coproduzione Centro Nazionale di Produzione della Danza Virgilio Sieni e di Fondazione CR Firenze La Contrada – Teatro Stabile di Trieste
In via di definizione: Tanzhaus Zürich, Snaporazverein, Armunia Casiglioncello
sostegni Centrale Fies
Nel panorama della danza italiana Marta Ciappina è un’interprete singolare: la sua danza sgorga sempre dal punto d’incontro tra il rigore del gesto tecnico e un’emotività sanguinolenta, a piena disposizione dello spettatore.
GLI ANNI evoca attraverso due dei suoi omonimi sia il racconto personale e assieme generazionale del romanzo di Annie Ernaux, sia la canzone strappa- lacrime degli 883: del primo proveremo a riscattare l’andamento narrativo, che accoglie in un “noi” storico una coltre di dettagli; del secondo replicheremo la trama nostalgica ma leggera. Lo spettacolo sarà dunque costruito a partire da una playlist di brani pop e rock degli anni ’80, ’90 e 2000, una di quelle irresistibili e disordinate liste che Marta, come molti di noi, ha di sicuro registrato su una musicassetta.
La sequenza di canzoni costituirà la struttura del lavoro, ne cadenzerà il ritmo in modo letterale. Su questa partitura la scrittura coreografica troverà i propri agganci, in un rapporto variabile con gli appuntamenti musicali che tradirà e soddisferà alternativamente l’aspettativa dello spettatore. La colonna sonora, da intendersi nel suo senso cinematografico, da una parte ci proietterà in immaginari noti – viaggi in macchina, pomeriggi oziosi, party di compleanno -, dall’altra farà da contrappunto surreale e inatteso a danze che sembreranno non avere nulla a che vedere con le canzoni. Il musicista LSKA interverrà su questa lista deviando e manipolando le canzoni, così da rivelarne anche gli aspetti più inquietanti e mettendo continuamente in dubbio la linearità del formato.
Cercheremo il punto di vista del narratore benjaminiano, che è prima di tutto colui che ascolta i racconti altrui, e solo in seguito l’artigiano che conosce il mestiere per mescolare, ricombinare e riscrivere le storie che ha appreso. Osserveremo gli strumenti della narrazione prima di tutto in relazione al tempo, alla sua funzione specifica di stratificare progressivamente le memorie e di creare consequenzialità tra i fatti e gli eventi del corpo, generando affezione nei confronti delle cose.
Cercheremo il punto di vista del narratore benjaminiano, che è prima di tutto colui che ascolta i racconti altrui, e solo in seguito l’artigiano che conosce il mestiere per mescolare, ricombinare e riscrivere le storie che ha appreso. Osserveremo gli strumenti della narrazione prima di tutto in relazione al tempo, alla sua funzione specifica di stratificare progressivamente le memorie e di creare consequenzialità tra i fatti e gli eventi del corpo, generando affezione nei confronti delle cose.
Andremo cercando una presenza sfacciatamente frontale, che sveli dal primo momento il lavoro in corso. Un corpo arrendevole, perforato dalla realtà. Nessuna forma d’interpretazione o di forzata presenza; chiederò a Marta di prendere familiarità col pulsare dei propri pensieri in diretta, di fronte allo sguardo dello spettatore. Il pensiero e il suo ritmo daranno la punteggiatura al racconto.
Classificheremo i pensieri di Marta in segreti, desideri e memorie. Troveremo di volta in volta il punto di incontro tra il pensiero e il pezzo, l’organo, la qualità o la mobilità del corpo, in modo da immettere il movimento in un flusso. Su questo flusso si proietterà sempre l’ombra di un romanzo, lunga e densa anche quando la scrittura risulterà frammentaria.
Dedicheremo un tempo ad osservare come si possa affondare nel segreto, come in una disperata danza in mezzo a un banchetto festoso. Se anche sembrerà inappropriata, avrà l’effetto di una battuta non capita.
Dedicheremo un tempo ad osservare come si possa affondare nel segreto, come in una disperata danza in mezzo a un banchetto festoso. Se anche sembrerà inappropriata, avrà l’effetto di una battuta non capita.