PLAY

 

 

di Caroline Baglioni
regia Michelangelo Bellani
con Caroline Baglioni, Annibale Pavone
luce e spazio Gianni Staropoli
costumi Aurora Damanti
disegno sonoro e musiche originali Francesco Federici
assistente alla regia Barbara Pinchi
scenografo Loris Giancola
cura del movimento Lucia Guarino
foto e video Elisa Brufani, Eris Curo
produzione La Corte Ospitale
con il contributo di MiC e Regione Emilia-Romagna

Il testo è stato selezionato e trasmesso per Il teatro di Radio3 Rai, per parlare di violenza contro le donne nell’ambito della giornata nazionale 8 marzo.

 

Un’attrice va a casa di un regista per fare un provino. Durante il colloquio le richieste del regista diventano sempre più incalzanti e provocatorie. Attraverso alcuni giochi il regista entra nella vita privata dell’attrice e sconvolge le regole del loro incontro. L’attrice, inizialmente in difficoltà, ribalta la situazione attraverso un gioco d’improvvisazione, entrando, a sua volta, nella vita privata del regista e insinuando dubbi che riguardano il vissuto dell’uomo. Il dialogo si sviluppa confondendo costantemente il piano fra realtà e finzione in un gioco di ruoli sempre più sottile e inquietante. La storia di una violenza psicologica che non si arrende a una visione stereotipata ma che mette in risalto le regole del gioco di potere che scivola di mano in mano e si muove sottilmente attraverso lo svelamento di due esseri umani, con tutte le loro contraddizioni e fragilità. Il testo trae spunto dagli scandali dei provini a scopo sessuale che hanno fatto nascere il movimento del #metoo, ma cela una relazione molto più profonda che lega i due protagonisti e che nel giro di un’ora svelerà una scomoda verità.

 

NOTE DI REGIA

Note di regia.

Play è un testo che trae spunto dai noti fatti di cronaca che hanno dato vita al movimento del metoo. Ma la scrittura di Caroline Baglioni, ha saputo tenersi ben lontana dalla convenzionalità delle argomentazioni con le quali solitamente si affronta un tema così delicato. Il tema infatti è la violenza del potere – nel linguaggio, nei ruoli, nella seduzione, nei rapporti – che anche quando non si manifesta con la brutalità di un’azione esplicita, può implicare sotterraneamente – nel gioco delle parti – una sottomissione psicologica che inquina la coscienza.

E come sappiamo bene spesso la coscienza affiora solo a posteriori. Ma non si tratta solo di una questione di genere o relegata all’ambiguo mondo dello spettacolo. L’abuso di potere, come lo spettacolo, è dappertutto: nelle case, nelle scuole, nei luoghi di lavoro, di svago. E non solo. Perché l’abuso si manifesta anche in come vengono riportati i fatti, dove spesso l’impatto dei mass media è micidiale e trasforma un intimo, privato, in una speculazione volgare. Rimarrà deluso perciò chi si aspetta la consueta polarizzazione con cui siamo abituati a parlare di certi fatti, divisi fra il partito dei “se le andata a cercare”, e quello dei “è un depravato”.

Play esce dai cliché di circostanza perché la situazione-tipo di una giovane attrice, riesce a immergerci nella complessità di una vicenda in cui il piano di realtà è precario e costantemente messo in dubbio. Ed è questa allora la questione: raccontare la fragilità emotiva, l’ambiguità con la quale spesso si presenta il “gioco” da fare, il tranello sempre in agguato in cui cadere, anche per chi è dall’altra parte della scrivania e si sente costretto o legittimato nell’esercizio delle proprie funzioni. Per questo è fondamentale sollevare il velo.

Portare alla luce, mostrare ciò che resta nel chiuso delle circo-stanze. Nel lavoro con gli interpreti, la scelta è stata quella di focalizzare l’attenzione sul microcosmo dei particolari e dell’emotività più nascosta. La resa del testo è affidata a ogni minimo dettaglio, anche sonoro, rivelato in primo piano per creare un rapporto con “i fatti” del tutto particolare. Li vediamo accadere davanti ai nostri occhi a una certa distanza, ma li sentiamo con la prossimità di una voce sussurrata: un’evidenza sonora per tradire tutto il non-detto.

Ciò cui assistiamo dal vivo è la concretezza dei gesti che i due interpreti compiono per realizzare ogni azione, ma con una risonanza incoerente, a tratti sospesa e iperbolica, dove il piano d’ascolto crea la suggestione di un “dentro” e di un “fuori” e l’immersione in un livello cinematografico-bidimensionale dentro il quale la vicenda sprofonda progressivamente rivelando una relazione inattesa e fra i due protagonisti. Non la rappresentazione dei fatti, dunque, ma la sensazione di tutto l’innaturalismo della realtà, per così dire, verso un universo sensibile e simbolico che prova a restituire la complessità e la profondità delle dinamiche emotive in atto ricordandoci che non si sa mai chi abbiamo di fronte e per questo occorre aver sempre più cura della relazione.
Michelangelo Bellani














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