Accabadora
dal romanzo di Michela Murgia edito da Giulio Einaudi Editore
drammaturgia Carlotta Corradi
regia Veronica Cruciani
con Monica Piseddu
scene e costumi Barbara Bessi
luci Gianni Staropoli
produzione Compagnia Veronica Cruciani, Teatro Donizetti di Bergamo, CrAnPi
“Accabadora” di Michela Murgia viene pubblicato nel 2009 da Einaudi e vince del Premio Campiello 2010.
Racconta una storia ambientata in un paesino immaginario della Sardegna, dove Maria, all’età di sei anni, viene data a fill’e anima a Bonaria Urrai, una sarta che vive sola e che all’occasione fa l’accabadora. La parola, di tradizione sarda, prende la radice dallo spagnolo acabar che significa finire, uccidere; Bonaria Urrai aiuta le persone in fin di vita a morire. Maria cresce nell’ammirazione di questa nuova madre, più colta e più attenta della precedente, fino al giorno in cui scopre la sua vera natura. È allora che fugge nel continente per cambiare vita e dimenticare il passato, ma pochi anni dopo torna sul letto di morte della Tzia.
È a questo punto del romanzo che la drammaturga Carlotta Corradi ambienta l’adattamento teatrale.
Maria è appena tornata da Torino. Sono anni che non parla con sua Tzia. Anni in cui ha cercato di cancellare il passato. Ogni ricordo della sua infanzia fa riaffiorare la rabbia nei confronti della Tzia, che le ha tenuto nascosta la sua vera identità. Di fronte però alla immobilità dell’anziana donna e all’idea di separarsi da lei, Maria mette da parte il rancore e se ne prende cura. Passano dei mesi e la Tzia non riesce a morire. Maria teme che ciò che la leghi alla vita sia la colpa che ha nei confronti di Andrìa Bastìu, suo amico d’infanzia. Maria sa che Andrìa, la notte di Ognissanti, vide Bonaria uccidere suo fratello Nicola. Ma più che Andrìa, è la stessa Maria a non riuscire a perdonare sua Tzia. Sua Tzia che Maria confessa, le è più madre della sua madre naturale. E passato il tempo necessario con lei, liberatasi di alcuni pesi che la tenevano confinata in un limbo di bambina, una Maria ormai donna può finalmente soddisfare la richiesta d’aiuto della Tzia, liberandola del peso della vita.