Falene, quel che la luce nasconde

 

regia e drammaturgia di Valeria Chiara Puppo
in collaborazione con Teatro Nelle Foglie

In residenza artistica presso la Corte Ospitale con il tendone a maggio/giugno 2022

Solo gli esseri umani sono giunti
a un punto in cui non sanno più perché esistono.
Hanno dimenticato la conoscenza
segreta dei loro corpi, dei loro sensi, dei loro sogni.
(Lame Deer & Erdoes, 1972, p. 157)

Lo spettacolo è una favola distopica raccontata con il linguaggio del teatro-circo, ambientata in un futuro incerto e disgregato, dove l’uomo ha perso il contatto con il proprio corpo, preferendo una vita solitaria nella realtà virtuale, stando a casa, senza conoscere il mondo in carne ed ossa.
Attratti dalla luce dei display e da qualunque fonte luminosa senza discernimento, i personaggi sono ispirati alle FALENE, insetti più antichi di milioni di anni rispetto alle farfalle, di colori dimessi, essenzialmente notturni, capaci di orientarsi con la Luna e le stelle.
Vivere nelle città per le falene è estremamente difficile e pericoloso, perché l’attrazione auto-distruttiva nei confronti della luce a volte può determinare un cambio di rotta, disorientare, addirittura condurre alla morte.
Così sono gli uomini oggi: si muovono attratti dalla luce di ogni schermo senza saperne il motivo; come storditi dagli impulsi esterni, assuefatti, non sono più capaci di decidere e desiderare.
Vivere a stretto contatto con dispositivi mobili ha inibito e trasformato i comportamenti del sistema corporeo ed emotivo, i sogni e i desideri, tanto necessari ed indagati in ambito psicoanalitico, sono scomparsi. La comunicazione digitale è una comunicazione decorporeizzata.
Progettiamo un tempo e un mondo nuovo, dove la cooperazione combatte il narcisismo, dove la fragilità è un valore intrinseco dell’essere umano e il processo di accettazione di essere come si è è un passaggio fondamentale per tornare ad esistere.
Una storia che racconta di tutti noi che vivendo un gran numero di ore nella realtà extracorporale dei social, dove la logistica emotiva e spaziale è completamente ribaltata, stiamo perdendo la capacità di sentire con la pelle, con l’olfatto, di entrare nella materia della carne.
L’estetica dello spettacolo è ispirata alle graphic novel, pensiamo alle scene come se fossero disegni, dando la possibilità al pubblico di interiorizzare la drammaturgia come se fosse una carrellata di diapositive, un lavoro in stop-motion.
 
 

DIARIO DI VIAGGIO: IL RACCONTO DELLA RESIDENZA ATTRAVERSO LA VOCE E GLI OCCHI DELL’ARTISTA

Qual è per te il senso e il valore di uno spazio di residenza artistica?
“Per noi essere qua in Residenza in corte Ospitale è un privilegio, un lusso. (…) La residenza permette un costante confronto con altre compagnie e l’ambiente è permeato da questa idea per cui tutto ti porta a concentrarti e a focalizzarti sul tuo lavoro. La residenza è un tempo che ci permette di dedicarci a tutte le ore del giorno al lavoro, alla ricerca, alla sperimentazione. La residenza ti da la possibilità anche di presentare il tuo lavoro ad altri colleghi che sono qua e questo ci permette di avere un feedback immediato. (..) Ci si rende conto di quello che si sta facendo, stare qui fa si che le cose si muovano, stare qui diventa quasi una accelerazione di particelle.”