HEY, ROBOT!

Intimacy in the age of machines

 

LO SPETTACOLO IN BREVE
HEY, ROBOT! (titolo provvisorio del progetto) nasce da una domanda che il nostro tempo presente e l’immediato futuro sembrano porci con urgenza attraverso una tendenza che, sempre più spesso, porta a colmare la solitudine e la mancanza di affetti con l’acquisto di macchine intelligenti. Ma possono davvero le macchine sostituire gli esseri umani nelle relazioni intime?
Lo spettacolo è pensato come evento one-to-one nel quale lo/la spettatore/spettatrice sarà invitato/a, in un’ambientazione futuribile, ad incontrare il/la compagno/a ideale, progettata a sua misura, una macchina dotata di intelligenza artificiale, capace di creare intimità con gli esseri umani.
Per prenotarsi allo spettacolo sarà necessario accedere ad una pagina web. L’evento avrà inizio in questo momento. Sulla piattaforma sarà possibile scegliere il personaggio con cui interagire durante lo spettacolo e il giorno e l’ora del proprio appuntamento. La promessa è quella di poter finalmente conoscere un’intelligenza artificiale sotto forma di copro virtuale con la quale “Non ti sentirai più solo!”, di vivere “Il primo, indimenticabile incontro con la tua anima gemella”.
Il teatro è, per definizione, il luogo dell’inganno. Il nostro lavoro sarà quindi basato sulla finzione secondo la quale lo/la spettatore/la spettatrice incontrerà e interagirà con un’entità che crede essere un’intelligenza artificiale straordinariamente “umana”, come si potrebbe vedere in un film di fantascienza, e poi, dopo un momento di svelamento, con l’attrice/l’attore che lo stava controllando.

IL PROGETTO E LE SUE RADICI
“L’autentico dialogo e quindi ogni reale compimento della relazione interumana significa accettazione dell’alterità. […] L’umanità e il genere umano divengono in incontri autentici. Qui l’uomo si apprende non semplicemente limitato dagli uomini, rimandato alla propria finitezza, parzialità, bisogno di integrazione, ma viene esaudito il proprio rapporto alla verità attraverso quello distinto, secondo l’individuazione, dell’altro, distinto per far sorgere e sviluppare un rapporto determinato alla stessa verità. Agli uomini è necessario e a essi concesso di attestarsi reciprocamente in autentici incontri nel loro essere individuale”
 
Queste parole del filosofo Martin Buber ci ricordano che il nostro essere “umani” si compie nell’incontro autentico con l’altro. Solo attraverso il “Tu” una persona può divenire “Io” e l’incontro è l’unica cosa reale. Eppure l’umanità sembra nella nostra epoca attratta dalla copia, dalla rappresentazione, dalla relazione con la cosa.
Oggi la ricerca e l’industria dei supporti di assistenza virtuale stanno facendo passi enormi nello sviluppo di macchine più o meno antropomorfizzate che possano sostituire o emulare gli esseri umani nella loro capacità di tessere relazioni interpersonali. Si tratta di prodotti creati per far compagnia, come rimedio alla solitudine o possibile sollievo dalla depressione come, ad esempio, il robot Pepper.
Un altro esempio sono i robot sessuali che si trovano sul mercato da un paio d’anni ormai. Bambole high-tech, molto curate a livello estetico e nell’anatomia e provviste di efficientissime intelligenze artificiali.
Secondo i loro produttori, queste bambole non solo possono soddisfare i bisogni sessuali dei loro utenti, ma possono anche diventare i loro partner nella vita reale.
Ma la ricerca di una relazione dialogica, sociale, emotiva con i robot non si limita esclusivamente alla sfera del sesso. Da qualche anno Amazon sta lavorando alla realizzazione di un social-bot in grado di sostenere una conversazione con i propri acquirenti.
Riuscirà la scienza a creare una macchina capace di relazionarsi veramente con gli esseri umani? Probabilmente sì. O forse no. Ma la vera domanda è: perché abbiamo la necessità di creare una macchina che sappia “essere umana”. Perché vogliamo costruire dispositivi che imitino la natura umana? Perché abbiamo bisogno di questa illusione?
Crediamo che lo sviluppo di robot sociali e antropomorfi apra le porte, piuttosto che alle interazioni umane con le macchine, a un’ulteriore oggettivazione del rapporto tra esseri umani. Ciò che temiamo non è un mondo in cui le macchine prevalgano sull’umanità, ma un’umanità capace gradualmente di sottrarsi alla relazione, dimenticando o disimparando come entrare in contatto tra umani.
Quando lo sviluppo delle capacità relazionali avviene sempre più attraverso relazioni mediate l’unicità dell’essere umano sembra essere in pericolo. La capacità di sperimentare l’empatia e le emozioni, lo sviluppo dei neuroni specchio, l’acquisizione di abilità relazionali come l’ascolto e l’empatia, non possono essere basate su esperienze di interazioni “non reciproche”.
 

DIARIO DI VIAGGIO: IL RACCONTO DELLA RESIDENZA ATTRAVERSO LA VOCE E GLI OCCHI DELL’ARTISTA

Qual è per te il senso e il valore di uno spazio di residenza artistica?
“La residenza in Corte Ospitale ci ha permesso di lavorare con un tempo ed uno spazio dedicato, un tempo che non è sempre semplice trovare. Due settimane finalizzate a questo lavoro permettono un’immersione totale e una cura che sono difficili da ritrovare in un contesto differente. Questa residenza ci ha permesso di continuare la nostra ricerca. Il nostro lavoro aveva bisogno di essere cucito insieme ed è ciò che abbiamo fatto. Questo percorso di residenza ci permette un confronto dialogico tra noi e le varie parti del lavoro, come drammaturgia, tecnica, spazio, e, soprattutto, un’apertura verso lo spettatore che ci ha permesso di avere una restituzione e quindi di poter guidare il lavoro in maniera più cosciente. Residenza vuol dire portare all’interno del lavoro tutto ciò che ci circonda. Residenza per noi è cura, possibilità, ricerca e confronto.”