Nel lago del cor

 
di e con Danio Manfredini
musiche composte ed eseguite dal vivo da Francesco Pini
aiuto regia Vincenzo Del Prete
dipinti e maschera Danio Manfredini
 
progetto audio Marco Olivieri
progetto luci Giovanni Garbo
scenografo Rinaldo Rinaldi
costruzione scena Alan Zinchi, Officine Contesto
editing video Ivano Bruner
direzione tecnica Guido Pastorino
produzione La Corte Ospitale
con il sostegno di Théâtre du Bois de l’Aune
in collaborazione con Armunia Rosignano Marittimo
Un ringraziamento a stagione Agorà/Teatro La Casa del Popolo di Castello d’Argile (BO)

              Allor fu la paura un poco queta,
                      che nel lago del cor m’era durata
                 la notte ch’i’ passai con tanta pieta.
                                                        Dante Alighieri

 

Un deportato durante la marcia di evacuazione dal lager, chiamata “marcia della morte” cade a terra sfinito. In quell’arco tempo, ripercorre le esperienze drammatiche che ha vissuto nel campo.

Come un fantasma, si fonde alle immagini del lager che tornano con pennellate, ad evocare il luogo lasciato alle spalle. Rientra in un incubo fatto di miseria, morte, pioggia, neve, freddo, paura…

Un soldato liberatore, gli appare come un angelo e lo accompagna in quell’inferno, con la musica, il canto, la presenza.

Il deportato rientra in quel varco della coscienza, in quel buco nero.

Le parole del deportato sono stralci di dialoghi, frasi salvate dalla memoria, suoni in lingue diverse, di una strana Babele e si intrecciano alle canzoni dell’angelo che eleva il lamento umano al cielo.

Nelle immagini si imprimono: selezioni, lavoro forzato, camere a gas, i crematori… forme acquarellate, bianchi, neri, colori più decisi, fanno da motore al movimento del deportato che sembra spinto dal vento, dalla pioggia, dagli spari, dal silenzio, prima di consegnarsi disarmato alla sua sorte.

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Qualche nota sul lavoro

Nell’agosto del 2018 sono andato a visitare il lager di Auschwitz, un caldo afoso, strano, perché dalle immagini, mi ero impresso gli inverni, la neve, il freddo. Invece, più di trenta gradi.

Cercavo in quello che oggi è rimasto del lager, di ritrovare quei dettagli che Primo Levi ben raccontava nel suo diario, e così mi tornavano in mente anche quelle righe dove parlava delle soffocanti estati polacche nelle baracche.

Tornato casa, hanno cominciato a girarmi per le mani, diversi libri intorno al tema dei campi di concentramento: Primo Levi, con i diari e i saggi sul lager; Gradowki, deportato del sonderkommando che si occupava di camere a gas e forni crematori; Ka- Tzetnik, che si sottopone alla terapia di uno psichiatra olandese prof. Bastiaans a base di LSD, per affrontare la sindrome da campo di concentramento. Il film “Shoah” di Lanzmann che raccoglie testimonianze di molti deportati sopravvissuti ai lager; documenti filmati dai liberatori quando sono entrati nei campi; i testimoni italiani sopravvissuti che hanno rilasciato interviste.

Poi l’incontro con Francesco Pini, amico musicista, le sue canzoni, hanno aperto una possibilità di collaborazione. Ritrovavo delle assonanze con quello che stava scrivendo e il tema che stavo affrontando. Si è aperta una interlocuzione che ha dato forma alla possibilità di integrare la musica come asse importante e la presenza del musicista, in una figura teatrale, con la funzione di accompagnatore nell’inferno del lager, in quell’incubo difficilmente spiegabile.

Ringrazio Vincenzo Del Prete che ha dato un contributo significativo alla regia del lavoro.

Un particolare ringraziamento alla Corte Ospitale di Rubiera che ha prodotto e sostiene lo spettacolo.

Dedico “Nel lago del cor” ai sopravvissuti, perché le loro parole sono state una guida e lo dedico come un requiem, a tutti coloro che sono morti senza lasciare traccia. Danio Manfredini







RASSEGNA STAMPA

Sandro Avanzo - Hystrio "Tra le massime creazioni, al pari di Cinema Cielo o Al presente, che meglio esprimono la visione in cui l’attore-drammaturgo-pittore vede collocato l’essere umano"

Davide Sannia – Krapp’s Last Post "Parole che ci siamo abituati a riconoscere, ma che questa volta vengono collocate in una prospettiva diversa, a cavallo tra sogno e realtà, vita e morte. La bocca di Manfredini, che le pronuncia, si fa fonte universale, capace di emanarle con un timbro quasi stridente. Vince la presenza inespugnabile di un corpo parlante raro"

Alan Mauro Vai - Teatrionline "Uno spettacolo di rara intensità, di spiazzante necessità umana, di infinità profondità e bellezza in cui perdersi in maniera straziante e ritrovarsi ad osservare gli altri come lo specchio di noi stessi"

Laura Bevione, PAC - Paneacquaculture "Lo spettacolo diviene così una sorta di immersione collettiva – disperante ma necessaria – nel lago oscuro della nostra anima: vincere la paura di fissare le proprie macchie scure e riuscire così a godere del sole – rosso brillante nel disegno che conclude il lavoro – di una serena consapevolezza della fragilità della nostra umanità, bisognosa di costante e accurata manutenzione"

Mario De Santis - HuffPost "La sfida vinta di Manfredini è portare a essere su una scena come vita, ciò che è, consegnandoci qui nel suo corpo vivente la materia bruta della condizione dei deportati, dei sommersi, degli sterminati senza lasciare traccia, che pure sono vissuti e che vengono così rammemorati nella loro pura presenza"






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