La Fabbrica dei Preti

 

di e con Giuliana Musso
Assistenza e ricerche fotografiche Tiziana De Mario
responsabile tecnico Claudio Parrino
collaborazione allestimento Massimo Somaglino
realizzazione video Giovanni Panozzo, Gigi Zilli
elementi di scena Francesca Laurino
ricerche bibliografiche Francesca Del Mestre
consulenza musicale RiccardoTordoni
produzione La Corte Ospitale

Si ringrazia Glesie Furlane per l’autorizzazione all’utilizzo del titolo tratto da “La Fabriche dai predis” di pre Toni Beline.

 

«Entriamo assieme nella grande fabbrica silenziosa. Prima, però togliamo il cappello e fermiamoci un attimo a pregare per tanta manovalanza sacrificata e rovinata in tutti questi anni e secoli. E, facendo uno sforzo, spendiamo un requie anche per le maestranze» da “La Fabriche dai Predis” di Don Pietrantonio Bellina

«I seminari degli anni ’50 e ’60 hanno formato una generazione di preti che sono stati ordinati negli anni in cui si chiudeva il Concilio Vaticano II e si apriva l’era delle speranze post-conciliari. Una generazione che fa il bilancio di una vita. Una vita da preti che ha attraversato la storia contemporanea e sta assistendo al crollo dello stesso mondo che li ha generati.
La dimensione umana dei sacerdoti è un piccolo tabù sul quale vale la pena di alzare il velo per rimettere l’essere umano e i suoi bisogni al centro o, meglio, al di sopra di ogni norma e ogni dottrina. I seminari di qualche decennio fa hanno operato per dissociare il mondo affettivo dei piccoli futuri preti dalla loro dimensione spirituale e devozionale. Molti di quei piccoli preti hanno trascorso la vita cercando coraggiosamente uno spazio in cui ciò che era stato separato e represso durante la loro formazione si potesse riunire e liberare. A questi preti innamorati della vita ci piacerebbe dare voce e ritrovare insieme a loro la nostra stessa battaglia per “tenere insieme i pezzi”».

La Fabbrica dei Preti è un lavoro di indagine e scrittura di Giuliana Musso. Uno spettacolo che intreccia tre diverse forme di racconto: un reportage della vita nei seminari declamato dal “pulpito” (ispirato al racconto di Don Bellina), la proiezione di tre album fotografici e la testimonianza vibrante di tre personaggi (un timido ex-prete, un ironico prete anticlericale ed un prete poeta\operaio). In apertura un prologo che ci ricorda cosa è stato il Concilio Vaticano II (1962-1965). Sul palco una serie di schermi di proiezione degli anni ’60 e alcuni abiti appesi: una tonaca, un vestito da sposo, un clergyman, una tuta da operaio.
I tre personaggi interpretati da Giuliana sono uomini anziani che si raccontano con franchezza: la giovinezza in un seminario, i tabù, le regole, le gerarchie, e poi l’impatto col mondo e col mondo delle donne, le frustrazioni ma anche la ricerca e la scoperta di una personale forma di felicità umana. Lo sfondo di ogni racconto è quella stessa cultura cattolica che ha generato il nostro senso etico e morale e con esso anche tutte le contraddizioni e le rigidità che avvertiamo nei nostri atteggiamenti, nei modelli di ruolo e di genere, nei comportamenti affettivi e sessuali. Lo spettacolo, mentre racconta la storia di questi ex-ragazzi, ex-seminaristi, ci racconta di noi, delle nostre buffe ipocrisie, paure, fragilità… e della bellezza dell’essere umano. E così mentre ridiamo di loro, ridiamo di noi stessi e mentre ci commuoviamo per le loro solitudini possiamo, forse, consolare le nostre.

 





Alessandra Agosti, Il Giornale di Vicenza «Spettacolo stupendo, intelligente e profondo. Che certamente denuncia un certo tipo di vecchia Chiesa, ma esalta la fede di chi crede così come - non suoni strano - di chi non crede in un dio, ma nell'uomo e nella vita. Da dovunque provengano».

Giambattista Marchetto, Il Gazzettino «Intensa, versatile, intima nei toni e terribilmente verosimile nel dare corpo e voce al dolore, alle paure, alle fragilità di un popolo di preti...curando ogni particolare, Musso diventa carne e pensiero, lacrime, dubbi e ideali di quegli uomini toccati da una grazia pesante, gravati da una missione impervia».

Tommaso Chimenti, Il Fatto Quotidiano «Giuliana Musso (“alta” e popolare come Baliani, Paolini, Celestini, Curino), anche con la forza del dialetto, con la potenza di un’ironia sottile, scardina la gola profonda dei meandri dell’indottrinamento, commuove con la semplicità del racconto orale».

Mario Brandolin, Il Messaggero «Musso da voce e corpo alla vicenda umana e di fede di tre anziani sacerdoti, tutti a loro modo segnati da quella fabbrica micidiale di frustrazione e repressione, che erano i seminari. E sono tre momenti di grandissimo teatro, per verità, versatilità e intensità di interpretazione».







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