Madri
di Diego Pleuteri
con Valentina Picello e Vito Vicino
regia Alice Sinigaglia
sound designer Federica Furlani
scenografo Alessandro Ratti
luci Luca Scotton
produzione La Corte Ospitale
con il contributo della Regione Emilia-Romagna
con il sostegno del MiC e di SIAE, nell’ambito del programma “Per Chi Crea”
Testo vincitore Eurodram 2022 – menzione al premio InediTO 2020
Sinossi
Un ragazzo torna a fare visita alla madre durante un pomeriggio di pioggia. Una volta in casa trova il salotto pieno di scatole, sparse sul tavolo, per terra, sopra le sedie. Fra di esse, la donna si muove continuando a parlare.
Sta cercando un vecchio articolo di giornale, letto tempo prima e poi conservato, nel tentativo di ricordare le ultime parole di una citazione.
“Di intimo c’è rimasto solo – “ e non riesce. Come se la sua vita fosse rimasta bloccata lì, in attesa di completare la frase. In poco tempo il figlio, dopo un pranzo frettoloso e conversazioni non fuori dall’ordinario (come i maglioni da lavare), si inoltra insieme a lei nella ricerca. Vana è ogni resistenza. Il richiamo di quella parola dimenticata è troppo forte, anche per lui. E dalle scatole cominciano a emergere vecchi album di fotografie, romanzi, integratori per l’umore, piccoli inquietanti scarafaggi difficili da uccidere. E mentre la loro indagine continua, i due, sempre con leggerezza, si ritrovano a raccontarsi le loro debolezze, le loro stanchezze e le loro paure. La paura della solitudine, come la paura degli altri. La paura di dimenticare e di essere dimenticati. Sospesi fra sogno e realtà, azione e pensiero, madre e figlio sprofondano inconsapevolmente nel loro inconscio, finché, una volta spogliati di tutto, la donna ritrova le parole che aveva scordato, restituendo a entrambi la loro intimità.
Note di regia
Uno dei punti più interessanti del lavoro di Diego Pleuteri su Madri riguarda la riflessione sul pensiero, sulle sue modalità di entrare in circolo nelle vite delle persone e di descrivere la realtà. I due personaggi scritti da Diego hanno la testa bucata, i loro pensieri fuoriescono senza sosta in un fiume di ossessioni che senza sforzo diventano parola; parola che di tanto in tanto si attorciglia su se stessa fino a sparire in un brusio di fondo, ma che altre volte senza nessun preavviso diventa concreta, reale. I fatti che le parole descrivono sono già tutti accaduti e forse non è nemmeno importante se siano accaduti davvero o siano stati solo immaginati. Il dialogare dei protagonisti è l’intreccio di due menti che volentieri diventano una sola e si scambiano continuamente le parti di una consumata vita interiore. In questo eterno monologare, madre e figlio si finiscono le frasi, sì, ma allo stesso tempo non riescono a finire l’unica frase che sembra importare davvero: di intimo c’è rimasto solo? Cercando la fine di una citazione, i due passeggiano a mezz’aria senza nessuna intenzione di scendere a terra. Sono insieme, sì, ma sono anche profondamente soli. Di intimo c’è rimasto solo il pensiero? La solitudine?
La regia approfondisce queste domande lavorando sulla parola e quindi sul suono, il più sfuggente degli elementi scenici (come sfuggente è la tenera incertezza dei due personaggi). Polifonico o monolitico, sdoppiato, sovrapposto, un approfondito e complesso lavoro sulla sonorità cerca di restituire tutti i livelli di stratificazione del pensiero, vero protagonista di questo testo. Il dispositivo drammaturgico e quello registico si fondono, le didascalie diventano dialoghi, i dialoghi pensiero, i pensieri monologhi e i monologhi vengono ascoltati da chi dovrebbe interpretarli. Ma da dove vengono le voci? Ci parla? I suoni escono dai cassetti della cucina, dalle scatole in cui lei fruga spuntano microfoni, fonti sonore inaspettate scoprono ricordi, si sdoppia il pensiero e livelli sovrapposti di testo si intersecano in bocca a chi invece sembrerebbe zitto. Qualcuno canticchia una canzone, ma qui nessuno sta cantando ed è qualche altra madre in qualche altra casa di qualche altro mondo che adesso canta la stessa canzone.
La regia ha in questo senso il compito di assecondare e amplificare un sistema di segni e rimandi in grado di complicare gli orizzonti del testo, trasformandolo in partitura musicale. Poiché così fa il pensiero: complica, cresce, cola, straborda, inciampa e ci porta dritto dritto verso noi stessi. Per i due personaggi i corpi sono solo incidenti del caso, incidente è abitare un luogo, ritrovarsi madre accanto al proprio figlio. Di reale c’è rimasto solo? Una cucina sbiadita abitata da due corpi incerti. La scena è un interno senza troppa fantasia, due sedie, pochi oggetti, qualche scatola. Una casa normale e concreta che ha perso colore, che il tempo ha tinto dell’inconsistenza in cui vive la sua proprietaria. In questo luogo spento, la madre si muove non sapendo di essere corpo, non ricordando che i suoi capelli rossi sono il marchio di una violenta vitalità. Una vitalità rimasta senza sfogo che nel tempo ha preso le sembianze di una disperata implosione, ma che ancora turbina dentro di lei. Ed è proprio turbinando per la casa, che l’attrice attira e richiama un mondo che fa rumore e porta scompiglio. Le blatte, il citofono, quel qualcosa che svolazza fuori dalla finestra: è il mondo esterno che cerca di sfondare il regno ovattato in cui i personaggi si trovano. Forse la vita riesce ad entrare anche qui dove non ci si dice mai niente, qui dove l’amore è di chi non sa provarlo e la solitudine è una cappa leggera sopra due esseri coperti di nuvole. Sbordano i contorni di due vite disegnate a matita. Qualcosa si agita sotto la polvere. Di intimo c’è rimasto solo? La vita, per chi trova il coraggio di viverla, anche sbadatamente, per chi ancora e sempre la continuerà a cercare dentro le scatole.
MADRI è il testo con cui il giovane autore Diego Pleuteri vince il prestigioso premio EURODRAM nel 2022. Con la produzione di Madri, La Corte Ospitale prosegue la sua ricerca di nuovi talenti che sostiene e accompagna, con l’obiettivo di favorire l’innovazione della scena contemporanea. Il sodalizio artistico tra Diego Pleuteri e Alice Sinigaglia si rinnova in questo progetto: la regia affidata ad Alice Sinigaglia promette una ricerca nella direzione del lavoro sugli attori in particolare in relazione al suono, che avrà un ruolo chiave nell’allestimento. Il testo, delicato e sottile, prende il via da una suggestione iniziale: “Di intimo c’è rimasto solo…?” I due personaggi scritti da Diego, come suggerisce Alice, hanno la testa bucata, i loro pensieri fuoriescono senza sosta in un fiume di ossessioni che senza sforzo diventano parola. In scena Valentina Picello e Vito Vicino danno corpo ai protagonisti. Di intimo c’è rimasto solo?